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Se siamo umani #restiamoumani

5 agosto 2014

La prima cosa che mi è venuta in mente è stata: come stanno? hanno bisogno di qualcosa? vestiti, lenzuola, giochi per i piccoli? La prima cosa che ho fatto è stata andarli a trovare, far sentire che non erano soli e chiusi in un ghetto, che oltre quelle strade e quelle fabbriche c’è una città, c’è gente che vuole accoglierli. Ci è venuta incontro una donna, capo coperto, occhi grandi e (nonostante tutto) sorridenti; poi una bambina mora e riccia, un ragazzo imbarazzato. Non parlavano inglese, io non parlo arabo. Non so come ma ci siamo capiti: state bene? mangiate? cosa vi serve? Lei ci ha chiesto: come si chiama questa città?

Non sanno dove sono, dove li hanno portati, noi non sappiamo dove volevano andare e dove andranno. Un gruppo di uomini, padri di famiglia, si incamminano alla ricerca di un supermercato, bambini giocano in cortile, donne in balcone stendono i panni. In questo pomeriggio caldissimo riusciamo a dirci poco, torneremo con chi sa parlare la loro lingua, perché vogliamo sapere, conoscere le loro storie, i loro sogni, quelli infranti e quelli ancora vivi, vogliamo aiutarli se possiamo.

Non so dire bene cosa sia l’accoglienza, ma so benissimo cosa non lo è: quello che ho sentito, visto e letto oggi nella mia città mi ha fatto schifo e mi fa paura. Negri, neri, di colore? Profughi, clandestini, delinquenti? Malati, infetti, ladri, violenti? Ci mancavano solo questi nel quartiere, e ora a chi le vendiamo le case, così si svalutano! Controllateli, seguiteli, vogliamo due pattuglie h24, polizia, carabinieri, l’esercito non può fare un salto? Chi ce li ha mandati, il governo, il comune? Comunque vanno rimandati indietro! Questi ci rubano il lavoro, che qua c’è già una crisi nera, quasi quanto loro! E perché quel residence non l’hanno dato agli italiani bisognosi, prima ci sono gli italiani, l’italia, la patria, dell’elmo di scipio s’è cinta! Se è mare nostrum vuol dire che il mare è nostro, non loro, e pure la terra, e pure pomezia, via, cacciamoli!

Di una cosa sono felice, che quella donna con quella bambina, quel gruppo di uomini, quel ragazzo imbarazzato, non leggeranno mai cosa si è detto di loro in queste ore, perché non conoscono la nostra lingua – almeno per ora – perché le occhiataccie, la freddezza e l’odio di chi incontreranno in questi giorni e mesi non potranno mai tradurla in ciò che è davvero, perché bisogna essere razzisti per sentire la paura intorno, perché bisogna essere soli per percepire il nemico nella diversità.

Loro non hanno paura, ma coraggio da vendere. Loro non sono soli, perché sono una comunità. Per tutti gli altri, valgono le parole di un ragazzo che ha dedicato la vita ad un popolo oppresso, un ragazzo che non credeva nei confini, nelle barriere e nelle bandiere, un ragazzo che è morto inseguendo il suo sogno di libertà: #restiamoumani.