Archive for the ‘emozioni’ Category

Corri, ma non scappare

23 novembre 2012

Un’amica e compagna, di lunghi viaggi – fisici e simbolici –, di politica, di confidenze, l’ha chiamato “il giorno dopo”, e ha ragione. A me arriva un po’ più tardi, perché si deposita, a strati, quella nausea stanca, quella rabbia  impotente, quella consapevolezza che vorrebbe farsi forza ma a volte si fa  tristezza.

Corri e scappa che ci prendono, chiuse nelle splendide strade del centro capitolino, che non mi erano mai apparse così strette e invasive. Bombe, morte, corpi dilaniati, bambini insanguinati, per un conflitto, lungo, di autodeterminazione. Giornate contro la violenza, adolescenti suicidi, femminicidio, omofobia, fiaccolate, fumetti, pantaloni rosa, teatri, assemblee, incontri, riunioni.

Coloro che mi hanno maltrattata vinceranno se non faccio qualcosa della mia vita dice Nicole. Sì, è questo. Occhi tumefatti, braccia rotte, coltelli in gola, silenzi, ricatti, persecuzioni. “L’assassino ha le chiavi di casa”, urlavano le donne 5 anni fa. E ce l’hanno pure adesso. E fa male, ogni volta, e troppo
spesso. Ieri Roberta Lanzino. Ragazza.

Ieri anche Andrea. Ragazzo.

Saturante, ha detto una donna parlando di Carla Lonzi, in sospensione, ha
detto un’altra parlando delle nostre vite, psicologicamente a terra, mi ha
confidato un’altra ancora.

Eppure siamo sempre qui e lì, in quel teatro, in quella piazza, in quella casa, con corpi stremati ma desideranti, con parole forti e di invenzione, con pratiche genealogiche. Ci siamo, e poi siamo sempre noi, ma ne vogliamo altre.

E ancora, corri, ma non scappare. Fermati, guardati intorno, cerca lo sguardo delle altre, trovale, eccoci!

L’8 marzo sulla soglia

9 marzo 2012

Oggi pomeriggio ho visto una rappresentazione teatrale: artisti non professionisti hanno messo in scena la tragedia di quel maledetto 25 marzo 1911 in cui donne, giovani, bambine, hanno perso la vita, i sogni, le speranze in una fabbrica newyorkese, tra le camicie che cucivano ogni giorno, avvolte dalle fiamme che hanno preso vita proprio a causa di quelle camicie. Sfruttate, sottopagate, rinchiuse 12 ore al giorno. E allora, dopo 100 anni, ho pensato alle donne del maglificio di Barletta, morte sotto le macerie del palazzo in cui lavoravano, ancora sfruttate e sottopagate, a nero. E ho pensato che la giornata di oggi, l’8 marzo, viene spesso legata a quel giorno di tanti anni fa, quasi a simbolo di una condizione di subordinazione che ti fa morire, e da cui le donne si sono rialzate, lottando, rivendicando, fino a celebrarsi. Eppure Tina, Matilde, Antonella, Giovanna e Maria non ce l’hanno fatta, non si sono rialzate dalle macerie pugliesi, e oggi non si sono celebrate.

Ma le altre sì che hanno avuto spazio in questa giornata: ho letto tanto, sui giornali, sui siti, sui social network. Si è parlato di donne, di quanto (non) lavorano, fuori e dentro casa, di quanto sono discriminate, dentro e fuori la politica, di quanto sono osteggiate a raggiungere le posizioni che contano, dentro e fuori i consigli di amministrazione. Ho letto anche che usciremo dalla crisi mondiale che stiamo attraversando solo se riusciremo a valorizzare il lavoro dell’agricoltura femminile nel sud del mondo. E che altro? Ah sì, uomini che oggi hanno scritto a partire dalle questioni di genere, hanno scritto di donne e dei rapporti tra sessi. E poi mimose, piazze, manifestazioni, solidarietà, conciliazione. I successi di decenni di conquiste: donne che comandano, che governano, che trattano, che occupano la maggioranza delle scrivanie negli uffici pubblici. E poi le violenze: donne uccise, violentate, perseguitate, tutti i giorni, tutte le ore, dentro e fuori le relazioni familiari, amicali, sentimentali, sessuali.

E per tutto il giorno sono stata sulla soglia, nè dentro nè fuori. Nè dentro le celebrazioni della giornata internazionale della donna, per la diffidenza alla sovraesposizione e la puzza di strumentalizzazione, nè fuori, semplicemente. Fino allo spettacolo, fugace e inaspettato, di donne, italiane e straniere, che mi hanno scaraventata dentro e hanno chiuso la porta, con violenza. E non è teatro, non è finzione, il brivido che ti attraversa il corpo quando vedi una donna spegnersi tra le fiamme, di un incendio, di un marito violento, della solitudine.

E ho pensato alle donne di Barletta, che hanno perso la vita sotto le macerie. E poi alle donne che dalle macerie sono ripartite. Ho pensato a L’Aquila, a Napoli, alla Valle. A quelle che dalle macerie ripartono quotidianamente, ogni volta che si rompe un bicchiere, una storia, una speranza. A quelle che lo fanno in silenzio e a quelle che lo urlano al mondo intero. Ho pensato alle compagne e allora ho riconosciuto le donne e il loro odore familiare.

Sono rimasta dentro perchè è casa mia e il fuori non è mai oltre la soglia. E intanto l’8 marzo è passato!

Se torna il sereno

27 dicembre 2011

Un ufficio silenzioso e silente, ancora assopito. Risveglio da giorni calorosi, di unione e condivisione, di giochi e risate, di bimbi felici di fronte a un libro parlante, di donne sorridenti e soddisfatte di fronte a una tavola imbandita, di giovani chiusi in casa davanti a un camino e annebbiati dai fumi, di coppie innamorate sotto alberi illuminati, di folle impazzite per le vie della città, di vecchi impegnati a ricordare il passato e a immaginare un futuro, di vite spezzate, di famiglie divise, di crisi persistenti.

Un’irruzione violenta e volgare, per un risveglio brusco. Brividi attraversano il corpo e gelano il cuore. Riportano nell’umido della terra che si fa fango, e investe corpi e pensieri, li copre, li soffoca. Nel presente che non riesce a farsi futuro, nelle lettere che non riescono a comporre frasi, nei suoni che non riescono a farsi melodia, nei gesti che non possono indicare la strada. E’ il nostro tempo, quello che viviamo e abitiamo, dal quale fuggiamo rifugiandoci, nelle case, nei romanzi, nelle relazioni. Sospesi su nubi insidiose, pronti a precipitare, alla disperata ricerca di paracaduti che possano ammorbidire la caduta. La salvezza nelle relazioni intrecciate, coltivate, disperse, ricominciate. In quelle politiche fatte di corpi, nella voglia di vedersi, toccarsi, stare insieme, pensare insieme. E’ lì che le nubi si disperdono e torna il sereno.

Grazie

7 gennaio 2011

Ci sono cose a cui non si pensa mai, perchè è giusto così. Cose difficili da affrontare, che richiedono energie e forza che non tutti hanno a disposizione. Ma quando accadono devi essere lì e devi esserci con tutta te stessa.

Vedere le donne, tante donne, della mia famiglia ed estranee, prendere in mano tutto e per mano tutti è stata l’emozione più forte che ho provato. Donne faccia a faccia con la morte, impavide, sicure, forti, che hanno accompagnato quella donna che la morte ha cercato di combatterla fino alla fine e a cui poi si è arresa accogliente.

Loro, tutte insieme, unite nel dolore, nello sconforto, hanno fatto della cura la protagonista di una perdita a cui le parole non rendono giustizia. Cura del corpo, cura dell’anima, cura dei dettagli. Di questi giorni così tristi mi è rimasta dentro la sensazione di calore che ho provato quando le ho viste arrivare con le mani piene di dolci, quando le ho viste accogliere parenti ed amici commosse, quando le ho viste sfilare dietro ad una macchina, quando le ho viste scegliere la foto che sarà per sempre, quando le ho sentite piangere e pregare in silenzio.

A quelle donne dico grazie, anche da parte di nonna…

una giostra che gira

27 aprile 2010

una passeggiata al primo sole di primavera, l’incantevole quadro di un cristo sofferente e bellissimo, una birra all’ombra di un pezzo di storia, gli occhi ridenti di un fratello innamorato, una giostra di cavalli che gira, una mano calda che stringe la mia. ci penso e mi emoziono.